La domanda sul futuro della compliance sembra riguardare il domani, ma in realtà parla delle scelte che compiamo ogni giorno: nelle aziende, nei consigli di amministrazione, nei comitati, negli organismi di vigilanza e perfino nelle decisioni personali. Non è un tema riservato a pochi addetti ai lavori: riguarda la fiducia dei mercati, la credibilità delle istituzioni e la sostenibilità del tessuto sociale.
Quando si parla di compliance, ci si accorge spesso del suo valore solo a posteriori: di fronte a un’indagine, a un intervento della procura, oppure quando entra in scena un nuovo partner – tipicamente un fondo di investimento – che pretende presidi solidi a tutela del proprio capitale e della reputazione. Non a caso, il compliance officer di un grande fondo ha sintetizzato con chiarezza questa visione: «La compliance è la nostra licenza ad operare».
Una questione culturale, non solo normativa
La compliance non può limitarsi alla mera aderenza formale alle regole. È prima di tutto una questione culturale: cultura dell’integrità, capacità di comunicare anche i “no” nel modo giusto, volontà di farsi accettare come parte integrante del progetto di business.
Ma quanto tempo serve perché questa cultura attecchisca davvero? Non nasce in un giorno: richiede tradizione, tentativi, errori, la pazienza di costruire nel tempo un linguaggio comune. La compliance, rispetto ad altre funzioni aziendali, è ancora giovane: nata spesso come “costola” del legal, ha trovato più semplice collocarsi in un ambito normativo. Oggi, però, la sua vera essenza si sta definendo e il percorso è ancora in pieno svolgimento.
Dal “nice to have” a leva di valore
Il cambiamento è visibile. La compliance non è più percepita come un costo accessorio, ma come fattore che incide direttamente sulla solidità delle imprese. I dati lo confermano: secondo l’EY Global Institutional Investor Survey 2024, quasi nove investitori su dieci dichiarano di utilizzare sempre di più informazioni legate alla sostenibilità e alla performance non finanziaria per orientare le proprie scelte. Integrità e trasparenza diventano quindi leve concrete, capaci di pesare quanto i numeri di bilancio.
Parallelamente, le nuove generazioni chiedono con forza coerenza e valori. La Deloitte Gen Z & Millennial Survey 2024 rivela che oltre il 70% dei giovani professionisti sceglie un datore di lavoro anche in base a criteri etici, inclusività e sostenibilità. Non è più solo questione di conformità: significa attrarre talenti, costruire reputazione, trattenere competenze.
Una globalizzazione fragile
Eppure, accanto a questa evoluzione, cresce un sentimento opposto: la percezione della compliance come freno al business, come burocrazia che rallenta l’innovazione. È un rischio accentuato in un contesto fatto di tensioni geopolitiche e sanzioni internazionali. Nei momenti di crisi la tentazione di scendere a compromessi è forte. Ma è proprio in questi momenti che la compliance deve dimostrare la sua funzione di bussola oltre che di scudo: guidare le imprese nella scelta della correttezza, senza cedere alla scorciatoia del profitto immediato.
Cosa la compliance non deve diventare
Guardando al futuro, è importante chiarire anche cosa la compliance non deve essere. Non deve ridursi a un formalismo sterile, ma promuovere regole comprese e condivise, sostenute da un tone from the top coerente e credibile. Non deve essere uno strumento rigido, ma nemmeno negoziabile o piegato al pragmatismo di breve periodo. E non deve restare confinata in un reparto separato, percepita come un’imposizione esterna: deve invece integrarsi nei processi e diventare parte del modo in cui l’impresa pensa, produce e interagisce.
Il futuro è ora
Il futuro della compliance non è scritto altrove, né rimandato a un domani indefinito. È qui, oggi, nelle scelte quotidiane: quando si dice “no” a un compromesso, quando si dimostra che la fiducia non si compra ma si conquista.
Sta a ciascuno di noi – non solo ai regolatori o ai board – costruire questo percorso. Perché il vero valore della compliance è la capacità di trasformarsi da barriera a linguaggio comune, da obbligo a cultura condivisa.