Nel confronto internazionale a cui partecipo da anni — tra policy-maker, leader d’impresa e accademici — ritorna spesso una domanda: la corruzione è la causa o la conseguenza della crisi della democrazia?
È una domanda che mi accompagna da tempo, perché più osservo contesti diversi, più mi convinco che la relazione tra corruzione e democrazia non è lineare, ma circolare.
La corruzione indebolisce la democrazia.
Quando si diffonde, erode la fiducia, distorce la rappresentanza, svuota le istituzioni della loro legittimità. È un virus silenzioso che lentamente soffoca la democrazia.
Ma è vero anche il contrario.
Una democrazia debole — dove il potere si concentra, dove il dissenso è scoraggiato, dove l’informazione è controllata o disincentivata — diventa inevitabilmente terreno fertile per la corruzione.
Quando la libertà si riduce, cresce il silenzio. E nel silenzio, la corruzione prospera.
È un paradosso sottile: la corruzione indebolisce la democrazia, e una democrazia fragile alimenta la corruzione. In questo equilibrio, i casi di corruzione diventano segnali anticipatori di un sistema che sta perdendo integrità. Ogni scandalo, ogni abuso emerso, è come un’anomalia su un cruscotto istituzionale: un early warning indicator che la qualità democratica si sta deteriorando. Non è solo una questione morale: è un sintomo sistemico, un segnale che il tessuto della fiducia si sta lacerando.
Ma la difesa della democrazia non appartiene solo alle istituzioni pubbliche. Anche il settore privato gioca un ruolo decisivo, perché rappresenta la supply side of bribery.
Ogni volta che un’impresa compromette la propria condotta responsabile, o riduce le funzioni di controllo a mere formalità, contribuisce — anche senza intenzione — a minare le condizioni che rendono possibile una competizione leale e, in definitiva, la stessa democrazia. Una governance irresponsabile non è solo un problema di etica aziendale: è una minaccia politica, perché erode l’equità, la trasparenza e la fiducia che tengono insieme una società democratica, e perché tocca la legittimità stessa del potere economico.
È questo il cuore del messaggio del Business at OECD Zero Corruption Manifesto e della recente Letter on the Importance of Integrity Compliance (Business at OECD – 29 settembre 2025), indirizzata al OECD Working Group on Bribery in International Business Transactions: la lotta alla corruzione non è più una questione tecnica, ma una responsabilità sistemica.
Significa riconoscere che un settore privato integro, consapevole e responsabile è parte essenziale dell’architettura democratica. Le imprese devono quindi adottare una governance responsabile, consapevoli del proprio ruolo sociale e del proprio potere di esempio.
Solo così potranno contribuire a costruire un ecosistema economico inclusivo, resiliente e orientato al futuro, dove la trasparenza non è un vincolo, ma un vantaggio competitivo che crea fiducia. La democrazia non si difende solo con le leggi, ma con i comportamenti.
Ogni decisione aziendale, ogni boardroom che sceglie la trasparenza invece del silenzio, ogni piano industriale che traccia la compliance footprint includendo KPI di “integrità” tra gli obiettivi dei propri manager, rafforza la democrazia più di mille dichiarazioni di principio.
Perché, in fondo, ciò che la corruzione dice sulla salute delle nostre democrazie è anche ciò che rivela sulla salute del nostro modo di fare impresa. E saper ascoltare quei segnali — prima che diventino irreversibili — è la forma più alta di responsabilità collettiva.

