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La filiera diventa governance: la certificazione che cambia le regole del gioco nella moda

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Il Capo VI del DDL 1484 introduce la Certificazione unica di conformità delle filiere della moda, uno strumento che mira a garantire che le imprese operanti lungo la catena del valore rispettino standard comuni in materia di legalità, sicurezza del lavoro, tutela ambientale e diritti umani. L’obiettivo è assicurare che ogni soggetto coinvolto nella produzione, dalla società capofila che detiene il brand alle imprese di filiera e ai subfornitori terzi, sia in grado di dimostrare la propria conformità attraverso evidenze oggettive, verificabili e aggiornate.

Tra gli elementi richiamati dal decreto figurano l’adozione di modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001, la tracciabilità dei processi produttivi e la verifica dell’affidabilità reputazionale delle controparti. Pur non essendo ancora definite nel dettaglio le modalità operative né i soggetti certificatori, il testo normativo delinea già un sistema di responsabilità condivisa che richiederà alle imprese di dotarsi di strumenti strutturati di controllo.
Come osserva Fabrizio Santaloja, Managing Partner Europe West Region Forensic – Supply Chain Compliance, “il legislatore sembra voler passare da un controllo formale a una responsabilizzazione sostanziale della filiera: non basterà dichiarare conformità, occorrerà provarla con documentazione solida e aggiornabile nel tempo.

Il quadro operativo e i nuovi requisiti

Il DDL ripercorre la filiera produttiva delineando obbligazioni differenziate tra società capofila e imprese di filiera, introducendo un controllo diffuso e strutturato.

Per le società capofila gli obblighi ruotano attorno alla costruzione di un sistema di tracciabilità e controllo documentato della catena di fornitura. È prevista la tenuta di un’anagrafica dei fornitori, aggiornata almeno semestralmente, che rappresenta la base informativa per la valutazione dei rischi e per la gestione dei rapporti contrattuali. La capofila dovrà inoltre adottare linee guida per la qualifica, la selezione e il monitoraggio dei fornitori, da elaborare a livello associativo e validare dai ministeri competenti.

Un ruolo centrale viene attribuito ai contratti di fornitura: essi dovranno includere clausole vincolanti a tutela della legalità lungo tutta la catena, con riferimento al rispetto della normativa lavoristica, fiscale e previdenziale, della salute e sicurezza e della tutela ambientale. Tali impegni non si fermano alla prima linea di fornitura ma devono essere estesi anche ai subfornitori.

Sul piano operativo, già in fase di onboarding la capofila dovrà acquisire documentazione comprovante la regolarità del fornitore, come visura camerale, certificazioni contributive e fiscali (DURC e DURF), autocertificazione di idoneità tecnico-professionale, ed è tenuta a mantenerla aggiornata nel tempo. Un ulteriore elemento innovativo riguarda l’obbligo, per la società capofila, di dotarsi di un Modello Organizzativo ex D.Lgs. 231/2001, idoneo a prevenire reati quali sfruttamento del lavoro, riciclaggio e impiego di capitali illeciti.

Per le imprese di filiera il decreto prevede un insieme coerente di obblighi contrattuali e organizzativi volto a garantire il rispetto dei principi di legalità e sostenibilità lungo tutto il processo produttivo. I contratti di subfornitura e appalto dovranno indicare in modo chiaro e completo le prestazioni richieste, gli adempimenti essenziali, le clausole risolutive e le eventuali misure correttive in caso di inadempimento.

Nel complesso, il decreto configura un modello in cui la capofila svolge un ruolo di presidio centrale del rischio, mentre le imprese della filiera ne condividono la responsabilità attraverso contratti trasparenti, controlli verificabili e meccanismi di miglioramento continuo. Si tratta di un impianto che, pur sviluppato nel contesto italiano, si inserisce perfettamente nel quadro della due diligence integrata e della responsabilità condivisa delle catene globali del valore.

Santaloja sottolinea come questa impostazione rappresenti una svolta culturale oltre che normativa: “La filiera non è più un perimetro esterno all’azienda. È parte della sua governance. E governance significa reputazione.”

Un cambiamento che le aziende devono anticipare

In attesa dei chiarimenti sui soggetti certificatori, è opportuno sottolineare che l’adozione dei presidi richiesti dal decreto prescinde dal tema della certificazione di filiera. L’azione dell’autorità giudiziaria nel perseguire violazioni in materia fiscale, previdenziale e di salute e sicurezza è già molto incisiva nei settori ad alta intensità di subfornitura.

Per questo motivo, indipendentemente dalla tempistica di attuazione della certificazione, per le imprese diventa fondamentale iniziare a valutare l’adeguatezza dei propri presidi rispetto ai requisiti richiesti e pianificare eventuali interventi correttivi.  “Aspettare la definizione delle regole operative non è un’opzione: chi si prepara ora trasforma la compliance in vantaggio competitivo” conclude Santaloja.

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