Anna Doro: una storia tra legal e compliance
Partiamo da lei. Quale esperienza professionale sceglierebbe oggi potendo sceglierne solo una?
Sceglierei quella in Citigroup e quella in Clifford Chance, perché, anche se esperienze diverse, mi hanno entrambe formato come legale, general counsel e come head of compliance ai massimi standard. Clifford Chance è uno dei primi studi del mondo e dovunque opera lo fa a livelli altissimi; allo stesso modo, Citigroup è una delle prime banche del mondo. La funzione compliance che ho ricoperto prima in Salomon Brothers e, dopo la fusione con Citibank in Citigroup è stata una delle prime funzioni compliance ad esistere in Italia. Quasi nessuno aveva la compliance nel 1998, io ho imparato tutto da loro e l’ho messo in pratica da pioniere in Italia. La seconda esperienza top è stata in Generali, che è stato anche il mio primo datore di lavoro italiano. In Generali ho partecipato al grande turn-around lanciato da Mario Greco che ha integrato le 3 grandi compagnie assicurative italiane (Generali, INA e Toro) dando vita al primo grande gruppo assicurativo italiano al contempo modernizzando la più vecchia compagnia assicurativa, uno sforzo epico fatto in soli 3 anni. Un’esperienza totale, inclusiva e elettrizzante.
Se, invece, dovesse suggerire un percorso ad un giovane che approccia il mondo compliance quale suggerirebbe?
Suggerirei di cominciare con un’esperienza internazionale perché spesso ancora i grandi gruppi internazionali, soprattutto di matrice anglosassone e ancor di più americana, sono più avanti degli altri. In tal modo si acquisiscono capacità e standard di massimo livello che formano professionalmente e possono poi essere rivendute successivamente. Altro suggerimento, acquisire un alto livello di conoscenza della normativa regolamentare e delle nuove tecniche e strumenti al servizio della compliance.
Parliamo di compliance. Rispetto agli inizi, a che punto siamo oggi in Europa?
La Compliance è nata negli Stati Uniti negli anni ’70 a seguito di una serie di scandali per corruzione che scoppiarono nell’industria USA (curiosamente non in ambito finanziario). A valle di ciò fu emanata una normativa che prevedeva che le società che si dotavano di strumenti e funzioni utili a prevenire la commissione di violazioni e reati avrebbero avuto degli sconti di pena in caso di incidente per cui ci fosse stata una violazione (sa molto di 231/2001, vero?).
A ciò si aggiunge adesso, rispetto agli anni ’70, la compliance verso altri requisiti in ossequio anzitutto ai principi dei codici etici e della sostenibilità, ovvero verso i principi di correttezza e eticità dei comportamenti e poi di sostenibilità delle attività economiche nel lungo periodo. Questo ultimo concetto sarà a breve sviluppato in un nuovo capitolo normativo che, almeno in Europa, sta per essere implementato e coinvolgerà tutte le imprese anche le più piccole. Per una volta va detto che l’Europa, sulla sostenibilità, è più avanti degli altri Paesi occidentali, anche dell’America, perché si sta dotando di una legislazione molto completa e complessa (si pensi alla Direttiva sulle Informazioni non-Finanziarie, i recenti obblighi per gli Asset Manager di relazionare sugli investimenti non sostenibili, la Tassonomia, che crea degli standard univoci per rendicontare sulla sostenibilità, ecc.).
Per quanto riguarda l’Italia?
Si può guardare agli altri Paesi, che hanno introdotto già da tempo la “Responsabilità Sociale di Impresa” (CSR), anche se spesso la relativa funzione si trova nell’ambito Investor Relation, nella funzione comunicazione o, nel migliore dei casi, del CFO. Tuttavia, con l’avvento della nuova normativa…continua a leggere l’intervista, clicca e scarica la versione integrale!