È mutata la sensibilità del CDA rispetto ai rischi derivanti dalla non compliance?
Collegamento tra amministratore e compliance: tutto parte da lì.
Il Cda ha, tra gli altri, il dovere di agire in modo diligente, di agire in modo informato, e il dovere di curare l’assetto organizzativo che è un tema ovviamente molto legato alla compliance.
Abbiamo avuto una profonda evoluzione normativa legata al D.lgs. 231, che ha incoraggiato i doveri di controllo, e una ampia evoluzione dei codici di Corporate Governance che hanno molto puntato sulle questioni legate alla gestione del rischio.
La sensibilità degli amministratori è sicuramente aumentata nel tempo. L’attenzione c’è!
II rischio di non conformità è il rischio di breve periodo più importante per un’organizzazione: se un’azienda sbaglia strategia potrebbe anche avere il tempo di correggersi, un errore sulla compliance è spesso letale. In alcuni casi la mera minaccia di un provvedimento di revoca della licenza di operare ha portato alla chiusura di aziende nel giro di breve tempo.
Quindi i consiglieri di amministrazione sono da un lato virtuosamente interessati a questo tema perché hanno capito che è un tema importante per la gestione della società, dall’altro – oltre la loro capacità e professionalità – c’è anche il timore del rischio di dover rispondere per i danni creati e in alcuni casi addirittura dal punto di vista penale.
Un’ultima annotazione sempre legata agli sviluppi recenti: l’avvento della dichiarazione non finanziaria così come altri provvedimenti più recenti in corso, in alcuni casi di adozione da parte dell’Unione Europea, rilanciano un’importante attività di disclosure, obbligando le organizzazioni a dare delle informazioni corrette al mercato e quindi ad occuparsi ovviamente di temi di compliance.