Prevenzione, sviluppo transnazionale e dialogo con le Autorità: il futuro del corporate crime passa di qui
compliancedesign.it ha raccolto in un’intervista la visione di Jean Paule Castagno, responsabile del dipartimento italiano di White Collar and Corporate Investigation di Orrick. Un racconto a due vie, tra metamorfosi del sistema penale e progetti professionali.
Un’area, quella del diritto penale (e dei penalisti) sempre piuttosto lenta nel recepire i cambiamenti. Quale fase sta attraversando invece oggi?
Penso che ci sia stata una rivoluzione del sentire e della rilevanza del mondo del diritto penale. Grazie ai temi 231, e quindi ad una responsabilità legata anche alla persona giuridica, il diritto penale ha iniziato la sua metamorfosi, che non è ancora compiuta. Guardando al futuro ci saranno molti spazi di sviluppo, soprattutto transnazionali.
Inoltre, il penalista è sempre più coinvolto nel valutare nuove linee di prodotto, nuovi trend di business, spesso molto innovativi, che scontano mancanze legislative con un rischio più alto sia regolatorio fino al penale. Ad esempio, il mondo fintech, o più ampiamente tech applicato ai vari settori, pone spesso problemi interpretativi che richiedono un assessment specifico.
Last but not least, la neonata Procura Europea con il suo ampio raggio d’azione e con i grandi poteri investigativi – che consentono al pubblico ministero di non dover più seguire l’iter della rogatoria internazionale – crea nuove sfide, anche interpretative ed ermeneutiche.
Quale sarà allora la chiave di lettura del futuro?
Credo che la direzione che si sta imboccando sia, da un lato, sempre più internazionale e dall’altro abbia un’ottica sempre più spinta verso la prevenzione. La riforma Cartabia e i recenti cambiamenti legislativi mirano a ridurre la durata dei processi e a concentrarsi su quelli che abbiano un solido substrato investigativo. Sono convinta che le aziende saranno sempre più impegnate a lavorare sull’investigation e sui piani rimediali in linea con il concetto di giustizia riparativa applicata alle corporation di ispirazione anglo-americana.
Molti imprenditori italiani non hanno ancora consapevolezza della portata e delle conseguenze del rischio, c’è ancora un salto culturale da compiere – soprattutto nelle PMI italiane – per far comprendere che la compliance non è solo mitigazione del rischio ma un valore di business e può essere il passaporto per lavorare con grandi clienti e spiccare un salto di posizionamento nel mercato.
Altro punto fondamentale è il dialogo con l’Autorità. C’è l’imprenditore, ci sono i professionisti, ma se non ci confrontiamo con le Autorità (anche quelle locali) e non portiamo a termine un reciproco scambio culturale di formazione – in cui il professionista deve rappresentare un po’ il trait d’union – non riusciremo a impostare quella leva qualitativa che la governance e la compliance oggi richiedono.
A proposito di salto. Cosa l’ha spinta nel passaggio dalla boutique alla law firm?
Fu una sfida che decisi di cogliere e che mi ha portato oggi a ricoprire il ruolo di responsabile del dipartimento italiano di White Collar and Corporate Investigation di Orrick. Tornando indietro a 11 anni fa, il passaggio in Clifford Chance fu una scelta all’epoca molto disruptive rispetto alla crescita di un penalista. Trovare un punto di equilibrio nella metodologia di lavoro, all’inizio non fu semplice. Per mia formazione, però, avevo sempre interpretato il diritto penale in una dimensione transnazionale e gli anni a seguire mi hanno dato ragione.
Nel 2019 ci fu poi l’occasione di lanciare un progetto completamente nuovo in Orrick, studio legale internazionale che non aveva internamente in Italia la practice di diritto penale dell’economia dell’impresa. Si trattava quindi di una nuova avventura: creare qualcosa che tenesse conto da principio delle mie inclinazioni e visione.
Quali le differenze tra i due studi internazionali?
Clifford Chance è una realtà “londoncentrica”, lo studio americano tiene maggiormente conto delle particolarità del mercato locale. Orrick, negli Stati Uniti, era particolarmente avanti sul White Collar Crime e sulla Corporate Investigation e quindi abbiamo dato vita ad un progetto che partisse dalla difesa in giudizio, e che si svilupasse a 360° a partire dalle investigation fino all’assistenza preventiva di analisi del rischio, ma con approccio molto sinergico rispetto a tutte le altre practice dello studio.
Com’è strutturato oggi il suo team?
Con Andrea Stigliano – che mi ha seguito da Clifford Chance e che ha creduto da subito in questo progetto – ci siamo sentiti molto imprenditori di start up dovendo costruire tutto da zero. Anche durante la pandemia il progetto è cresciuto molto bene e oggi il team conta, oltre noi due, Chiara Bettinzoli e altri tre giovani professionisti che sono con noi da più di un anno. Credo che le nuove generazioni siano davvero il motore dell’innovazione, del cambiamento, e che abbiano diritto di accedere una formazione seria, tema sempre centrale del nostro team.
Quale invece la relazione con le altre practice?
Le tre core practice di Orrick a livello globale sono Energy, Tech e Finance dalle quali il nostro team viene coinvolto per quanto riguarda l’attività di assessment in merito aiprofili regolamentari e penali. In aggiunta presidiamo numerose operazioni di M&A per lo svolgimento di due diligence e analisi del rischio penale e compliance ormai uniti dalla 231. Siamo inoltre riusciti in questi tre anni a sviluppare una forte trasversalità della nostra practice rispetto a tutte le altre aree in cui lo studio presta assistenza ai clienti, creando e diffondendo al contempo una cultura del rischio, per mitigarlo edd individuare le soluzioni più efficaci per i clienti, sia nazionali siainternazionali. […] continua a leggere People in Compliance