Certificazione della parità di genere, non solo pink washing

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Una rivoluzione strategica necessaria per crescere

In Italia la gender equality nel mondo del lavoro è ancora un’idea lontana dalla realtà dei fatti. A dirlo sono i numeri, in particolare il Global Gender Gap Index, per il quale siamo solo al 63° posto al mondo, mentre la Germania è al 10° e la Francia al 15°.Tuttavia nell’ultimo periodo c’è stato un cambio di passo e il nostro Paese potrebbe scalare la classifica grazie alla legge 162/2021, che ha introdotto la Certificazione della parità di genere dando attuazione alla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 che ha l’obiettivo di ottenere, entro il 2026, l’incremento di cinque punti nella classifica dell’indice sull’uguaglianza di genere elaborato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), che attualmente vede l’Italia al 14° posto nella classifica dei Paesi UE.

Non è una certificazione obbligatoria, ma si richiede su base volontaria. Prevede dei meccanismi premiali, per cui le aziende che decidono di investire nella parità potrebbero avere, una volta ottenuta la certificazione, facilitazioni per i bandi europei o decontribuzioni per le assunzioni.
Il nuovo Codice degli appalti appena approvato dal Consiglio dei Ministri ha però depotenziato il “bollino rosa” con una premialità per favorire l’occupazione delle categorie protette solo facoltativa, e non più obbligatoria come previsto nella legge delega di Draghi.

Ma, nonostante questo passo indietro, sul quale si era già espresso il Presidente dell’ANAC Giuseppe Busia il 20 marzo scorso in occasione di un convegno organizzato da AITRA, Associazione Italiana Trasparenza e Anticorruzione “Sulle quote rosa, non possiamo permetterci che il nuovo Codice Appalti faccia passi indietro”, la certificazione traccia il passaggio e segna l’avvio di una trasformazione che punta a essere tutta culturale e strutturale. Il processo, infatti, non finisce una volta ottenuta, ma le aziende annualmente dovranno dimostrare attraverso un monitoraggio che si tratta di un processo continuo.

Ma a che punto siamo dal punto di vista numerico?
A sentire gli organismi che certificano le organizzazioni, il mercato sta rispondendo molto bene. Con un trend che prospetta una crescita molto più rapida se comparato con altre certificazioni, anche storiche. Da giugno 2022, ovvero quando è diventata operativa, già oltre mille organizzazioni si sono certificate e altrettante hanno iniziato la procedura.[…]continua a leggere People in Compliance

 

GENDER EQUALITY: LO SCENARIO ITALIANO

■ La Gender Equality è uno dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile fissati dall’ONU (Goal 5).

■ La Missione 5 del PNRR ha sottolineato l’importanza del ridurre le disparità, stanziando 9,81 miliardi per lo sviluppo di politiche di inclusione sociale.

■ A novembre 2021, inoltre, la legge n.162 aggiorna il Codice delle Pari Opportunità ed estende l’obbligo di redazione di un rapporto sulla situazione di impiego maschile e femminile per tutte le aziende, pubbliche e private, con più di 50 dipendenti.
Diventa quindi una necessità per le Organizzazioni strutturare un proprio sistema di gestione dell’inclusione, non solo per mostrare il proprio impegno sul tema Gender Equality, ma anche per determinare e monitorare precisi obiettivi per il miglioramento.

■Il Decreto Bonetti ha adottato la UNI/PdR 125:2022 quale standard di riferimento per l’individuazione dei parametri per ottenere la Certificazione di parità di genere introdotta dalla Legge 162/2021 nel Codice delle Pari Opportunità.

■ La PdR UNI 125:2022 definisce le linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere. La prassi prevede l’adozione di specifici KPI che permettano la misura, la rendicontazione e la valutazione dei dati relativi al genere nelle organizzazioni con l’obiettivo di colmare i gap attualmente esistenti, nonché incorporare il nuovo paradigma relativo alla parità di genere nel DNA delle organizzazioni e produrre un cambiamento sostenibile e durevole.