Ristuccia & Tufarelli: obbligo di segnalazione, i limiti delineati dal Tribunale di Roma

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Quand’anche un professionista, esaminando operazioni effettuate precedentemente al conferimento dell’incarico in proprio favore, “potesse, secondo un criterio di comune diligenza, rendersi conto, o quanto meno avanzare un fondato sospetto, in ordine alla portata fittizia e distrattiva dell’operazione diretta a sottrarre le risorse finanziare facenti capo alla società, poi, fallita in danno dei creditori”, ciò non di meno l’intera operazione (nel caso di specie la stipula di un contratto di consulenza e il pagamento del relativo corrispettivo) non può qualificarsi “attività di reimpiego di beni di provenienza illecita”.

È la tesi condivisa dalla Seconda Sezione del Tribunale di Roma che ha accolto l’opposizione spiegata da un dottore commercialista avverso una sanzione comminata dal Ministero dell’Economia delle Finanze per ipotetiche violazioni alle norme antiriciclaggio previste per i professionisti.

«La qual cosa assume, nella sentenza in commento, – si legge nella nota diffusa dallo studio Ristuccia Tufarelli & Partners che ha seguito il professionista – valenza decisiva ai sensi della normativa antiriciclaggio e del relativo apparato sanzionatorio una volta considerato, alla luce sia dell’art. 41, co. 1, D.Lgs. 231/2007 sia della novella di cui al vigente art. 35, che “l’obbligo di segnalazione sussiste solo nel caso in cui vi sia il sospetto che l’operazione possa integrare un atto di riciclaggio, in quanto preceduta da attività criminosa”».

In altre parole “E’ necessario … che l’atto di disposizione – per il quale sussiste l’obbligo di segnalazione – abbia ad oggetto beni o diritti che si sospetti provenire da un’attività illecita di rilevo penale”.

«Il che però nel caso di specie non era riscontrabile in quanto “non risulta negli atti (né risulta indicato dal Ministero) alcun elemento da cui desumere la provenienza criminosa della provvista utilizzata per il pagamento del corrispettivo alla società di consulenza turca (trattandosi di somme pacificamente trasferite tramite conto corrente intestato al Prosciuttifi cio xxxxx srl in liquidazione normalmente utilizzato da quest’ultima per le transazioni commerciali), dovendosi più che altro ritenere che tale provvista sia stata destinata ad un’attività illecita (diretta cioè alla sottrazione dei beni all’azione dei creditori, in vista del futuro fallimento)”» continua la nota dello studio Ristuccia Tufarelli & Partners.

«E’ stata in tal modo smentita la tesi, sistematicamente avanzata dal MEF a fronte di tale eccezione, “secondo cui l’intera operazione, ovvero la stipula del contratto di consulenza e il pagamento del relativo corrispettivo, si presta ad essere qualificata quale attività di reimpiego di beni di provenienza illecita”» continuano.

E in conclusione: «Non esistendo obbligo di segnalazione ai sensi della normativa antiriciclaggio, non possono né dovevano rilevare gli indici di anomalia richiamati dal Ministero a supporto della sanzione emessa, e diretti ad agevolare l’individuazione di operazioni sospette di riciclaggio da parte di alcune categorie di professionisti (in primis i dottori commercialisti) con conseguente accoglimento dell’opposizione ed integrale annullamento del provvedimento opposto»