(Global Integrity Report ) Etica e integrità cruciali per il 70% dei manager, ma difficile tenere standard alti

Share:

L’ultimo “EY Global Integrity Report 2024” ha rivelato che il 70% dei manager considera l’etica e l’integrità fondamentali per il business, ma incontra difficoltà nel mantenere alti standard in queste aree. Le aziende italiane, pur riconoscendo l’importanza di tali valori, spesso falliscono nel tradurre i propositi etici in azioni concrete, evidenziando una dicotomia tra intenzioni e pratiche reali.

compliancedesign.it ha intervistato Piero Di Michele, Partner di EY Forensic & Integrity Services, per meglio comprendere le ragioni di questo divario e quali siano i comportamenti e le nuove leve a livello sistemico capaci di trasformarsi in un vantaggio competitivo significativo, contribuendo a un’economia più robusta e trasparente.

 

Le aziende italiane considerano una priorità di business l’etica e l’integrità aziendali, ma solo il 39% ha percepito un miglioramento degli standard di integrità negli ultimi due anni. Da quali esperienze nasce questa dicotomia?

Probabilmente in questa dicotomia si cela la sfida più grande ed irrisolta della corporate compliance: riuscire realmente a cambiare i comportamenti, al di là dei propositi. 

Il dato non mi sorprende ed è del tutto plausibile che fra i manager italiani ci sia una visione condivisa sull’importanza che queste tematiche rivestono nella vita d’azienda, quantomeno negli intenti…e poi, in fin dei conti, quale manager non dichiarerebbe l’importanza della business integrity nella conduzione degli affari?

Cosa diversa però è tradurre gli intenti in azioni concrete, o addirittura avere una percezione tangibile dell’efficacia delle misure attivate. Nella maggior parte dei casi la compliance non fallisce nel disegno, fallisce nell’applicazione.

Dato che un numero significativo di incidenti di integrità coinvolge terze parti, i nuovi interventi normativi di prossima attuazione saranno utili nel mitigare questo dato? Quali misure possono eventualmente adottare le organizzazioni?

Credo che in questo momento storico il rischio sulle terze parti sia realmente l’anello debole della catena quando parliamo di business integrity, ed i fatti di cronaca lo confermano: quando il problema diventa garantire il comportamento di soggetti esterni alla propria organizzazione, la rischiosità aumenta vertiginosamente. Etica dei fornitori, irregolarità amministrative, fiscali, condotte fraudolente, caporalato e rispetto dei diritti umani, sono solo alcuni degli esempi e ci sono settori dell’industria e del commercio pesantemente impattati.

Se guardiamo a come si sta evolvendo lo scenario normativo, quantomeno in area UE, i presupposti corretti sembrano esserci; ma sarà un cammino lungo e non facile. Per un’azienda specie se grande e complessa mettere in piedi un sistema di compliance della propria supply chain è attività articolata e presenta profili di difficoltà gestionale non banali: bisogna farlo con metodo ed esperienza.

Il rischio nel rischio, altrimenti, è quello di alimentare sovrastrutture costose e prive di beneficio; non è infrequente, e parlo per esperienza diretta, dover intervenire con progettualità di tipo “rimediale” (a volte dopo che l’azienda abbia subito misure molto pesanti come l’Amministrazione Giudiziaria) quando l’azienda stessa era convinta di avere implementato già tutti i controlli necessari. Quello che manca, troppo spesso, è un approccio specialistico alla problematica. Perchè compliance di filiera non è qualifica dei fornitori, e in questa errata equivalenza risiede la maggior parte degli errori che ho visto commettere.

 

In generale, con l’aumento della complessità normativa e delle pressioni economiche, quali sono le sfide principali che i regolatori, le autorità e le stesse organizzazioni devono affrontare per mantenere standard elevati di integrità?

Credo che la vera sfida sia nel fornire indirizzi comuni senza lasciare troppo spazio ad interpretazioni soggettive. Questo non vale solo per chi legifera, ma anche per l’industria, che dovrebbe cercare il supporto di associazioni di categoria e tavoli di settore per definire standard uniformi di approccio.

 

Piero di Michele

Il ruolo dei Compliance Officer e dei presidi interni di difesa si sta espandendo. Ma possono davvero giocare un ruolo rilevante in un ambiente così complesso e in evoluzione?

Il momento di transizione verso il futuro è chiaro e presenta per tutti opportunità e minacce. La grande opportunità che vedo è che il mercato va sempre piu’ in una direzione in cui i sistemi di business ethics, conformità, sostenibilità e risk management, percepiti per tanti anni esclusivamente come costi, diventano elementi di creazione del valore. La buona governance, l’integrità ed un solido sistema di controlli interni hanno oggi un valore tangibile: reputazione, appeal per investitori, banche, clienti, migliori multipli nella determinazione del valore d’azienda, solo per citarne alcuni. Se dovessi immaginare il profilo dei professionisti del mondo GRC del futuro, vedrei figure che sappiano coniugare capacità tecniche a grandi doti comunicative.

Quale ruolo invece potrà giocare e quanto può/potrà essere incisiva la tecnologia e l’intelligenza artificiale nella sfida della business integrity?

Come in tutti i campi, in particolare nel campo delle scienze manageriali, l’impatto sarà sicuramente significativo. Ovviamente occorre prudenza soprattutto quando ci si addentra in ambiti delicati come l’etica, ma le potenzialità di sviluppo sono considerevoli. Supporto alle decisioni in tempo reale, analisi predittive, o anche semplicemente la possibilità di sapere in qualsiasi momento come comportarsi in modo allineato a norme, codici e procedure interne. Si, le applicazioni possono essere molte e ho già visto concept di grande interesse che presto saranno applicazioni disponibili su vasta scala.

 

Qual è la domanda che avresti voluto fare e non è stata fatta? Con quale risposta?

La domanda è: qual è la cifra per cui accetteresti un compromesso sulle questioni che riguardano l’integrità? La risposta è “nessuna”. Non è utopia né retorica, semplicemente un concetto macroeconomico che non dovremmo mai dimenticare: se tutti gli attori del sistema si comportano in modo virtuoso, il sistema stesso diventa più virtuoso ed i benefici sono esponenziali per tutti. L’economia genera migliori profitti, valorizza il merito ed attrae talenti, attira investimenti esteri. Cresce il benessere per tutti. Il vecchio adagio da bar che recita “chi è onesto è un fesso” non è soltanto un pensiero deprecabile. E’, razionalmente, una grandissima menzogna […] continua a leggere People in Compliance#37