Homebest practiceMarcello Irlando (MAECI): non solo regole, ma cultura del rischio

Marcello Irlando (MAECI): non solo regole, ma cultura del rischio

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Nel corso del suo intervento al talk romano sulle sanzioni internazionali – organizzato da ComplianceDesign.it in collaborazione con EY Forensic & Integrity Services e Orrick – Marcello Irlando, Senior Technical Officer del Ministero degli Affari Esteri, ha sottolineato la crescente necessità di formazione e condivisione delle esperienze.

Il contesto italiano, caratterizzato da un tessuto economico composto in gran parte da piccole e medie imprese, rende particolarmente urgente un approccio che consenta anche agli operatori meno strutturati di comprendere e gestire efficacemente i rischi legati alla compliance. Non si tratta semplicemente di applicare regole, ma di costruire consapevolezza diffusa, adattando strumenti e percorsi formativi alle dimensioni e alle caratteristiche di ciascuna realtà aziendale.


Nel contesto generale delle sanzioni internazionali, il 24 febbraio 2022 ha segnato un punto di svolta. Le sanzioni nei confronti della Russia esistevano già, come dimostrano il Regolamento UE 833/2014 e le prime misure adottate dopo l’annessione della Crimea, ma sono state le misure introdotte a partire dal 25 febbraio 2022 a trasformare radicalmente il quadro, ampliando in modo esponenziale l’elenco di beni, servizi e soggetti coinvolti. Il nuovo Allegato IV, ad esempio, include entità verso le quali sono adottate misure restrittive che non sono nemmeno russe, a testimonianza dell’estensione e modifica del perimetro territoriale che caratterizza l’architettura di ogni misura sanzionatoria europea. L’impatto è stato dirompente: interi settori come l’aerospazio e il nucleare si sono visti costretti ad interrompere collaborazioni che, fino al giorno prima, erano considerate strategiche, affidabili e perfettamente lecite.


Le modalità di adozione delle sanzioni sono anch’esse profondamente mutate. Se un tempo lo schema classico prevedeva una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come punto di partenza, oggi ci si trova di fronte a misure “unilaterali coordinate” adottate da blocchi di Paesi come l’Unione Europea, gli Stati Uniti, il Regno Unito e il Giappone. È in questo contesto che nasce e si afferma la logica dei cosiddetti “Paesi partner”, concetto introdotto nell’Allegato VIII, e che riflette ed è sintomo di una crisi evidente del multilateralismo tradizionale.

Le conseguenze pratiche per le imprese sono enormi. Molti operatori italiani avevano nella Federazione Russa un mercato di sbocco primario, se non esclusivo. L’improvvisa chiusura di questo canale ha obbligato molte realtà a ripensare l’intero modello di business, a rivedere le proprie supply chain e a ridisegnare le strategie commerciali. A questo si aggiunge un elemento talvolta trascurato: in Italia, la violazione delle misure restrittive è punita penalmente fin dal 2018. Un rischio di natura penale che molte imprese hanno sottovalutato fino a quando non si sono trovate, improvvisamente, esposte ovvero hanno acquisito coscienza e consapevolezza di tale rischio.

Il nuovo assetto normativo, inoltre, introduce due obblighi particolarmente significativi. Il primo è l’obbligo di “best effort”, che impone alle aziende di dimostrare di aver fatto tutto il ragionevolmente possibile per prevenire violazioni. Una clausola la cui vaghezza si traduce in una sfida operativa rilevante: come stabilire se si è fatto abbastanza? Il secondo è la cosiddetta “No-Russia Clause”, che prevede l’inserimento nei contratti di una clausola che vieti espressamente alla controparte in un qualunque paese terzo la riesportazione di alcuni dei beni listati verso la Russia. Questo comporta inevitabilmente la necessità di rinegoziare accordi con partner di Paesi terzi, spesso poco inclini ad accettare vincoli percepiti come estranei al proprio ordinamento.

Di fatto, l’Unione Europea sta chiedendo alle imprese di dotarsi di veri e propri programmi interni di conformità – gli Internal Compliance Programmes – e di estendere tale logica anche ai soggetti esteri da queste possedute o controllate. Sebbene tutto ciò comporti un onere aggiuntivo, Irlando invita a cogliere l’opportunità: entrare in una catena commerciale “trusted” significa accedere a relazioni più efficienti, sicure e capaci di generare valore reputazionale.

Oltre all’adempimento, queste nuove clausole possono diventare un fattore competitivo. Un’impresa che accetta clausole stringenti e che adotta misure di due diligence dimostra affidabilità, capacità di gestione del rischio e visione strategica. L’introduzione di standard comuni nei contratti riduce le asimmetrie informative e consente di semplificare i controlli lungo l’intera filiera. È un’evoluzione che va letta anche alla luce della recente direttiva europea sull’applicazione delle sanzioni, che rafforza l’obbligo di integrare la compliance sanzionatoria nei modelli organizzativi ex D.Lgs. 231, nei sistemi di whistleblowing e nella governance aziendale.

In conclusione, quello che emerge dall’intervento di Marcello Irlando è un invito ad abbandonare l’idea delle sanzioni come semplice vincolo burocratico e a considerarle invece come un nuovo paradigma. Un paradigma che richiede alle imprese italiane di ogni dimensione un salto culturale e organizzativo, ma che al tempo stesso può diventare un’occasione per rafforzare la propria competitività, costruire filiere più resilienti e affrontare il commercio internazionale con strumenti nuovi e più evoluti.

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