Quale compliance per le società quotate sul mercato EGM?

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Il mercato EGM è stato pensato per le PMI e, quindi, al fine di facilitarne l’accesso al mercato dei capitali, sono state previste procedure semplificate ed in particolare non è prevista in modo obbligatorio (come requisito di ammissione alla quotazione) l’adozione di nessuna misura di compliance specifica

Non sono previste per esempio né l’adozione del Modello 231, né l’adozione di modelli organizzativi coerenti con l’art.2086 del cc; unici presupposti per la quotazione sono la certificazione di almeno un bilancio di esercizio e il rilascio da parte della società di revisione di una confort letter sul sistema dei controlli interni (ma al riguardo si tratta di procedure standard che non necessitano sicuramente l’adozione di sistemi Sap o similari).

Ovviamente nei fattori di rischio indicati nel Documento di Ammissione potranno essere indicate eventuali lacune, specie se rilevanti con lo svolgimento delle attività, anche se ad onor del vero, tali rischi “indiretti” raramente sono riportati fra i Fattori di Rischio quasi che gli estensori ritengano la non obbligatorietà del presidio di compliance come un fattore liberatorio dalla sussistenza del rischio potenziale, che di converso è aggravato dalla carenza del presidio.

La pressochè totale assenza di regole di compliance (e la semplicità di quelle di governance che prevedono la nomina di un solo amministratore indipendente) è probabilmente uno dei fattori chiave del successo del mercato EGM che oggi vanta ben 176 società quotate, di converso sui mercati regolamentati e con regole di compliance assai più rigide il numero di società quotate diminuisce e sono frequenti i casi di delisting ( specie se il valore della società riconosciuto dal mercato non coincide con i valori attesi): questi dati devono far pensare sia Borsa Italiana che Consob.

La pressochè totale assenza di regole di compliance (e la semplicità di quelle di governance  è probabilmente uno dei fattori chiave del successo del mercato EGM, di converso sui mercati regolamentati e con regole di compliance assai più rigide il numero di società quotate diminuisce e sono frequenti i casi di delisting.

Il problema si pone, in particolare, quando vengono quotate su questo mercato non regolamentato società di grandi dimensioni, ovvero quando la capitalizzazione delle società quotate cresce e raggiunge soglie di qualche centinaia di milioni di euro, con un mercato retail significativo. La carenza di compliance adeguata e la periodicità semestrale dei dati economico finanziari espone in particolare l’investitore retail a maggiori rischi, anche perché essendo un mercato scarsamente liquido eventuali effetti sul titolo derivanti da eventi negativi potrebbero essere particolarmente significativi e non proporzionati alla gravità dell’ evento.

Si tratta di anomalie sporadiche, per ora, ma che potrebbero crescere (allo stato il Regolamento di Borsa italiana non prevede limitazioni di accesso). Borsa Italiana ragionevolmente dovrebbe iniziare a valutare la possibilità di modificare a breve il proprio regolamento prevedendo al raggiungimento di certe soglie di capitalizzazione (ad esempio 500 milioni), ovvero di masse significative di retail l’introduzione di alcuni maggiori presidi di compliance / informativi quali ad esempio: un maggior numero di consiglieri indipendenti, la previsione di un comitato rischi, di un comitato parti correlate, l’adozione del Modello 231, una maggior attenzione sui sistemi di controllo interni, tutti elementi di compliance utili a presidiare gli interessi degli investitori ma, anche e soprattutto, il buon andamento del mercato evitando il ripetersi di casi clamorosi come il fallimento Bio-On, in cui una società che quotava oltre 1,3 miliardi di euro è improvvisamente fallita senza che nessun presidio interno fosse stato previsto dagli organi amministrativi.

In altre parole il mercato EGM è arrivato ad un bivio in cui dovrà coniugare semplificazioni e presidi di compliance, per far sì che mantenga una concreta appetibilità per le PMI ma nel contempo non diventi un” far west”.

In altri termini la rigida compliance che riguarda i mercati regolamentati è un fattore di ostacolo allo sviluppo dei mercati dei capitali, si ricorda che la stragrande maggioranza delle società quotate continuano ad essere società in cui la famiglia dell’imprenditore mantiene il controllo), e comporta costi di gestione (soprattutto come impiego di risorse umane) eccessivi in rapporto alle utilità prodotte, da qui la necessità di individuare presidi crescenti che portino una adeguata implementazione delle attività di compliance unitamente alla crescita dell’azienda.

Ma forse occorrerebbe anche iniziare ad avviare una semplificazione delle strutture di compliance che troppe volte sovrappongono organismi con funzioni analoghe esponendo le funzioni aziendali a moltiplicazione di attività.

Si potrebbe ripensare la funzione del collegio sindacale (un organo societario tipicamente italiano, in quanto generalmente nel mondo si applica il sistema monistico) concentrando sullo stesso una serie di attività di compliance e di effettivo controllo dei rischi, dotandolo di idonea struttura aziendale e riconoscendogli adeguati compensi ( quelli attuali fanno pensare che di norma oggi sia un organo sostanzialmente inutile), tale soluzione potrebbe in qualche modo assorbire l’ODV di cui al modello 231 e divenire un valido sistema di controllo della società con specifico riferimento alla analisi e gestione dei rischi. Controllo che avverrebbe nel corso dell’ esercizio e non ex post come invece avviene da parte della società di revisione.

intervento a cura di Gianluigi Serafini, PartnerLexjus Sinacta