Innocenzi (Banca Finint): Rischi vicini e rischi lontani

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Trasferire il rischio costa e deve essere certo. Il prezzo complessivo del trasferimento del rischio deve essere economicamente vantaggioso. L’attenzione alle novità regolamentari è fondamentale. Avendo bene a mente queste regole, il trasferimento e la mitigazione del rischio è sempre uno strumento essenziale per gestire una azienda in generale e una azienda finanziaria in particolare.

compliancedesign.it ha raccolto l’intervento di Fabio Innocenzi (AD di Banca Finint) tenuto lo scorso 19 ottobre durante il XXIX Convegno della R.I.B. Reinsurance International Brokers e del Gruppo Assigeco, che ripercorre i diversi approcci al rischio, che dagli inizi degli anni 2000 fino ad oggi, hanno caratterizzato il mondo finanziario.

Fine anni ’90, inizio 2000: rischio concentrato ma buono versus diversificazione

Nel mondo bancario non ancora globalizzato alcuni elementi di base erano considerati veri pilastri inattaccabili: la conoscenza dell’imprenditore, della sua famiglia, dei suoi dipendenti, dei suoi clienti e dei suoi fornitori dava un vantaggio competitivo. La tesi era limpida: il rischio di credito delle PMI del territorio era mitigato da una conoscenza approfondita dell’azienda e da sistemi di alert immediati qualora qualcosa iniziasse ad andare male. Quindi il vantaggio informativo poteva permettere di concentrare il rischio.

Rischio concentrato ma buono. A questa visione si contrapponeva quella dominante in altre aree del mondo finanziario come nell’asset management dove quello che contava era la diversificazione del rischio. Un analista può sempre sbagliare, la diversificazione non sbaglia mai.

Spezzettare il rischio tra tanti debitori ed evitare di essere l’unico finanziatore di un’azienda era la linea guida. Si conosce bene l’azienda? Meglio. Non la si conosce abbastanza? Pazienza, l’importante è diversificare. Meglio più rischi sconosciuti e diversificati che meno rischi conosciuti e concentrati.

2008, fallimento Lehmann

Il fallimento Lehmann è stato anche il fallimento della diversificazione, del trasferimento del rischio, della sua polverizzazione. Un vero shock. Se il rischio viene trasferito, assemblato in altri prodotti, poi riassemblato e polverizzato i prodotti, diversificati, diventano incomprensibili. Nessuno li vuole. Gli investitori scappano e i prodotti vanno in default per eccesso di complessità.

Scatta allora la corsa verso il processo opposto: lo spacchettamento, la scomposizione, il ritorno ai rischi elementari originali. Ma è difficile, a volta quasi impossibile. E anche se teoricamente possibile è un processo lungo e costoso. Talmente lungo e costoso che gli strumenti complessi, anche se i rischi sottostanti sono sani, rischiano di andare in default.

Fabio Innocenzi

Nei settori a scopo di lucro, i processi di compliance e l’importanza della reputazione possono essere gestiti direttamente e gerarchicamente ponendo regole a cui tutti i dipendenti devono attenersi. “Tuttavia, nel settore non profit, ci troviamo spesso di fronte alla sfida di gestire un gran numero di volontari, il che può complicare la gestione complessiva. Il volontariato è radicato in una cultura che talvolta considera impossibile commettere errori, data la nobiltà delle attività svolte. La sfida sta nel far comprendere che le pratiche di compliance non sono burocrazia fine a sé stessa, ma servono a proteggere l’organizzazione che tutti stanno sostenendo”.

Con il 2008 cade il mito della diversificazione “più ce n’è, meglio è”

La diversificazione è diventata una medicina da prendere in modica quantità, se le dosi sono eccessive prevalgono gli effetti collaterali. Ma nel 2008 è stato anche peggio: il rigetto per tutti i prodotti diversificati, sia quelli con sottostanti “marci” che quelli con sottostanti sani, ha portato a mettere tutti sullo stesso piano.  È il rischio sistemico. Non si riesce più a mitigare il rischio, non si riesce a trasferirlo. È solo contagiare ed essere contagiato.

Mercato e funzionamento

I mercati si sono sviluppati con la ricerca di equilibrio tra operatori professionali che, conoscendo i fondamentali, comperavano quando i prezzi scendevano e vendevano quando salivano. Dall’altra parte gli investitori non professionali, , comperavano invece quando il mercato saliva e vendevano quando il mercato scendeva. Per difendere la stabilità degli operatori e per tutelare i risparmiatori, sono arrivate regole stringenti su banche, assicurazioni, fondi comuni. I ratio patrimoniali, quelli di Solvency, i budget di rischio hanno un filo rosso che li collega: peggiorano se scendono i prezzi; migliorano se salgono i prezzi.

Gli operatori professionali hanno dovuto comportarsi in modo opposto a quello precedente: più spazi per comperare se i mercati salgono, obbligo di vendere se i mercati scendono. Se i mercati scendono si supera il budget di rischio, si erode il capitale regolamentare, è necessario vendere. Sembra un paradosso ma dall’altra parte, con ipotetica funzione di stabilizzatore, resta un unico attore di mercato che può comperare quando i mercati scendono e viceversa. L’attore che non deve rispettare indicatori prociclici: le famiglie, il risparmiatore finale. E’ lui che salva il corretto funzionamento del mercato.

Anche la tecnologia, meraviglioso motore di progresso, in questo caso “gioca contro”.  La tecnologia, in un contesto con regole e comportamenti prociclici, moltiplica la velocità e l’impatto delle oscillazioni. Le rende molto più violente.

Tre regole fondamentali

L’esperienza di questi anni è stata utile per imparare alcune regole importanti. La prima è che trasferire il rischio costa e deve essere certo.

Pagare per trasferire il rischio (conferendolo, cartolarizzandolo, assicurandolo) non ha senso se si ha il dubbio che il rischio, nel momento in cui si concretizza, “ritorni indietro”. Non è una analisi banale perché gli ultimi anni hanno dimostrato che non è sufficiente l’analisi della solidità della controparte cui il rischio viene trasferito.

La parte legale e contrattuale è diventata altrettanto importante, soprattutto in un Paese nel quale è certo che i tempi della giustizia civile sono incompatibili con quelli dell’esercizio dell’impresa. Pagare (la controparte) per trasferire il rischio, poi pagare (le spese dei contenziosi) per ottenere la copertura dei rischi traferiti, e poi pagare il costo del rischio stesso nel momento in cui si capisce che i tempi di recupero sono incompatibili, significa pagare tre volte per lo stesso rischio. A tutto ciò si aggiunge il fatto che sempre più spesso ci sono motivazioni reputazionali o “di sistema” per cui è opportuno farsi comunque carico del rischio trasferito. La normativa sulla tutela del risparmio ne è un esempio. Una banca o una assicurazione pensano di intermediare un rischio che non rimane a carico dei propri libri e invece motivazioni reputazionali o moral suasion di sistema fanno rientrare il rischio dalla finestra.

La seconda regola è che il prezzo complessivo del trasferimento del rischio deve essere economicamente vantaggioso.

La probabilità di accadimento dell’evento rischioso basata sulla evidenza storica è sempre stato il faro in questo campo. Le complessità descritte nel punto precedente rendono questo faro quantomeno intermittente. Se poi ci occupiamo di un rischio “nuovo” o “raro” (e si è in entrambi i casi in assenza di serie storiche di supporto) la complessità aumenta. Se ad essa si aggiunge il fatto che anche la parte legale e contrattuale non hanno evidenza storica di esiti nei contenziosi e che la parte reputazionale e sistemica sono a loro volta sconosciute, il prezzo rischia di diventare insostenibile o addirittura non misurabile. Altre volte diventa inesistente.

Infine, la terza regola è l’attenzione primaria alle novità regolamentari.

Per motivi del tutto ragionevoli, a titolo di esempio hanno favorito la creazione di una intera industria, quella del recupero dei crediti in difficoltà, che si è sviluppata e consolidata in pochissimi anni grazie a prezzi che in aggiunta alla effettiva copertura del rischio hanno garantito margini interessanti (sia in Italia che all’estero). Una industria inizialmente nata per la convenienza delle banche a fare gestire o cedere i propri crediti deteriorati a soggetti specializzati dotati di know how e capitale. Poi sono arrivate le regole che hanno creato asimmetria in termini di requisiti patrimoniali tra chi ha generato il credito deteriorato e chi subentra in un secondo momento. Questo ha portato le banche a passare dalla “scelta di vendere” all’ “obbligo di vendere”. E quindi a farlo anche se il prezzo del trasferimento del rischio è penalizzante.

Avendo bene a mente queste regole, il trasferimento e la mitigazione del rischio rimane (e rimarrà) per sempre uno strumento essenziale per gestire una azienda in generale e una azienda finanziaria in particolare […] continua a leggere People in Compliance#27