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Montefusco (RCS MediaGroup): il futuro dei professionisti del controllo passa dalle competenze

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Attraverso trasformazioni rapide, rischi sempre più trasversali e una crescente pressione sul fronte della responsabilità organizzativa, il ruolo degli assurance provider aziendali è in profonda evoluzione. Internal Audit, Compliance, Risk Management non sono più chiamati solo a presidiare norme o verificare processi: oggi devono portare valore, essere presenti nei momenti strategici, influenzare le decisioni.


Ma per farlo, serve molto più che competenza tecnica. Serve un nuovo set di competenze, soprattutto relazionali, comunicative e trasversali, che permetta a queste funzioni di essere ascoltate, riconosciute e coinvolte non a valle, ma tempestivamente nei processi decisionali. Ed è qui che si manifesta una delle difficoltà più grandi: queste competenze non si acquisiscono facilmente. Non basta un manuale per diventare un buon comunicatore, né esiste una formula sicura per sviluppare la capacità di influenzare. Richiedono tempo, consapevolezza e continua applicazione sul campo.

È questa la visione di Michele Montefusco, Audit Manager in RCS MediaGroup, che ha incontrato ComplianceDesign.it: il cambiamento tocca l’identità professionale stessa di chi lavora nel controllo. I profili più efficaci oggi non sono solo quelli con solide basi tecniche, ma quelli che sanno anche orientarsi nella complessità, costruire fiducia, farsi cercare e non solo “tollerare” dal business.

Oltre la tecnica: la centralità delle competenze trasversali

Michele Montefusco

Il primo cambiamento è culturale. Per troppo tempo si è pensato che la qualità del lavoro delle funzioni di controllo si potesse misurare solo sulla base della precisione normativa o della correttezza metodologica. Ma oggi, quelle competenze, seppur essenziali, sono il punto di partenza, non il traguardo.
Le sfide reali sono complesse, trasversali, in costante evoluzione. Si chiamano sostenibilità, digitalizzazione, sicurezza informatica. Sono rischi difficili da prevedere, spesso intrecciati tra loro, e che sfuggono a schemi lineari. «Operiamo in un contesto di dinamicità e non linearità dei rischi», osserva Montefusco. E proprio per questo, il controllo deve diventare un facilitatore di connessioni.
«Serve un approccio sinergico. Spesso le competenze tecniche necessarie sono già presenti in azienda, ma non si parlano. Il ruolo del controllo è anche quello di favorire questa connessione».
Essere “abilitatori” significa integrare visioni, stimolare la collaborazione, prevenire i rischi prima ancora che si materializzino. E per farlo, serve ascoltare, adattarsi a interlocutori differenti, entrare in contesti in movimento.

Comunicazione, influenza e coraggio: competenze che fanno la differenza

Tra tutte le competenze richieste, la comunicazione è quella più strategica. Non si tratta solo di redigere report di impatto: si tratta di instaurare dialoghi costruttivi. Oggi serve una comunicazione bidirezionale, continua, anche informale, che favorisca collaborazione e fiducia.
«La comunicazione non è più monodirezionale. Significa saper ascoltare, cogliere segnali anche informali, creare occasioni di confronto. È relazione, non esposizione».
A questa si collega l’influenza, che non si ottiene per decreto ma si conquista con l’utilità. Non basta avere una posizione formale: serve credibilità reale. Montefusco lo dice chiaramente: «L’autorevolezza si ottiene quando si portano risultati chiari e rilevanti, utili per chi prende decisioni. Solo allora si diventa veri partner del management».


Ma c’è un’altra caratteristica ancora più invisibile e difficile da allenare: il coraggio. In un’organizzazione, chi ha il compito di porre le domande difficili spesso si espone. E chi lavora nel controllo deve saperlo fare. Serve il coraggio di toccare aree nuove o ancora poco presidiate, di portare punti di vista diversi anche quando il clima potrebbe non essere favorevole.
«Il controllo, oggi, non può più limitarsi a verificare ciò che è noto. Deve anticipare, deve proporre alternative. E questo richiede, oltre alla preparazione tecnica, la forza di sostenere posizioni scomode, anche quando toccano aspetti strategici o di comportamento organizzativo».
È in queste situazioni che il controllo può fare davvero la differenza: quando riesce a stimolare una riflessione che non si sarebbe attivata altrimenti.

Competenze che si costruiscono sul campo

Come spesso accade per le competenze trasversali, non basta la teoria: ascoltare davvero, persuadere con credibilità, collaborare in modo efficace sono abilità che si affinano nel tempo, con l’esperienza e la pratica quotidiana.
«Le sviluppi in ogni telefonata, ogni riunione, ogni mail. Sono le competenze più difficili da costruire, ma oggi tra le più importanti». Eppure, paradossalmente, sono anche le meno presenti nei percorsi formativi tradizionali dei profili di controllo, che spesso arrivano da ambiti normativi, contabili, legali. Si parte svantaggiati, e per colmare quel gap servono costanza, umiltà e autocritica. Come dice Montefusco, «devono diventare il pane quotidiano».

Da controllato a cliente interno: unevoluzione culturale

Il cambiamento è anche nel posizionamento. L’assurance deve passare da “tollerata” perché necessaria, a presenza utile, che viene cercata. Questo passaggio è il vero segno di evoluzione nel controllo: da verificatori ex post a consulenti interni proattivi.
«Il nostro lavoro ha successo quando qualcuno, davanti a una decisione importante, cerca spontaneamente il nostro parere. Vuol dire che ci percepiscono come risorsa, non come vincolo».
Il massimo livello di influenza lo si raggiunge quando è il vertice a chiedere attivamente il punto di vista del professionista del controllo. È il segno che il contributo è riconosciuto come importante, non solo per presidiare un rischio, ma per gestire la complessità.

Lautorevolezza costruita sui risultati

C’è una condizione necessaria, però: i risultati, oltre che rilevanti, devono essere tempestivi e non banali. In un contesto in cui tutto cambia rapidamente, il rischio di portare “risposte vecchie a domande nuove” è sempre dietro l’angolo. Inoltre,
«Ogni risultato che portiamo deve essere personalizzato. Perché, se è scontato o banalmente ripetitivo, è già irrilevante».
La credibilità si gioca tutta qui: nella qualità dei risultati. Un controllo che non si limita a rilevare errori, ma che offre soluzioni, stimola idee, aiuta a migliorare. Un controllo che non porta solo giudizi, ma costruisce valore.
Quando la funzione di controllo riesce a costruire questo tipo di autorevolezza, smette di essere un’attività di retroguardia e diventa parte integrante del motore aziendale. È una trasformazione faticosa, ma potente. E oggi, è più necessaria che mai.
«Il nostro apporto è davvero valorizzato quando si sente la nostra mancanza, non quando si nota la nostra presenza», sottolinea Montefusco.
Ecco, forse è questa la vera prova di maturità: diventare così rilevanti da essere quasi invisibili. Ma indispensabili.

di Matteo Rizzi

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